Così la Corte di Cassazione Penale, sez. III, nella sentenza n. 16036/2019.
Il Commento è a cura di A.Quaranta sulla rivista Ambiente&Sicurezza sul lavoro.
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Sentenza 16036/2019: la vicenda
Il socio/procuratore speciale di un’impresa e il responsabile tecnico della stessa erano stati condannati per il reato di cui all’art. 260 del Testo Unico Ambientale perché, in concorso tra loro, per conseguire un ingiusto profitto, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso (risparmio del denaro dovuto per un corretto smaltimento del percolato, per la ricopertura e compattazione giornaliera dei rifiuti, nonché per le opere necessarie per una corretta manutenzione della discarica) avevano:• utilizzato per l’abbancamento dei rifiuti aree non autorizzate, utilizzando per l’abbancamento dei rifiuti aree senza previo isolamento del terreno con apposita geo-membrana;
• versato il percolato prodotto dai rifiuti in un vallone;
• abbandonato rifiuti in qualità eccedente i limiti autorizzati;
• omesso di provvedere alla copertura e compattazione giornaliera dei rifiuti;
• consentito il conferimento di rifiuti non ammissibili in discarica;
• consentito il conferimento di rifiuti di soggetti non autorizzati.
Fra i vari motivi di ricorso vi era quello relativo alla violazione di legge ed il vizio di motivazione: in sintesi, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla dedotta mancanza di correlazione tra accusa e sentenza con riferimento al capo a) dell’imputazione, il quale sarebbe riferito ad una condotta posta in essere “dall’agosto 2010 a tutt’oggi” mentre i fatti per cui è stato condannato sarebbero riferiti ad un arco temporale antecedente.
Sentenza 16036/2019: il giudizio della Cassazione
La Cassazione, dopo aver ricordato che:•il delitto in esame è qualificato come reato abituale proprio, in quanto caratterizzato dalla sussistenza di una serie di condotte le quali, singolarmente considerate, potrebbero anche non costituire reato, con l’ulteriore conseguenza che la consumazione deve ritenersi esaurita con la cessazione dell’attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti e
•alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge,
si è soffermata sul fatto che la condotta viene indicata come accertata “dall’agosto 2010 a tutt’oggi”.
Ebbene, la Suprema Corte ha evidenziato che, con riferimento ai reati permanenti, la contestazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio con la formula “ad oggi” o “tuttora” delimita la durata della contestazione e, quindi, la cessazione della permanenza alla data di formulazione dell’accusa, “precisando, altresì, che tale regola processuale non deve essere confusa con la prova della protrazione della condotta criminosa fino a tale limite processuale, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicato ultimo limite processuale”.
Tali principî – ha proseguito la Corte – devono ritenersi utilizzabili anche con riferimento ai reati abituali (in specie art. 452-quaterdecies codice penale), osservando come ogni reato abituale sia “reato di durata”, che mutua la disciplina della prescrizione da quella prevista per i reati permanenti, sicché il decorso del termine di prescrizione avviene dal giorno dell’ultima condotta tenuta, che chiude il periodo consumativo iniziatosi con la condotta che, insieme alle precedenti, forma la serie minima di rilevanza.
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