La vicenda
Il Tribunale di Massa aveva ritenuto responsabili del reato di cui all’art. 256 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata), comma 4 del Codice Ambiente, il legale rappresentante di una società che aveva effettuato attività di recupero e riutilizzo di rifiuti speciali non pericolosi (CER 17 01 01, cemento – 17 01 02, mattoni – 17 01 03, mattonelle e ceramiche – 17 01 07, miscugli o scorie di cemento) senza osservare le prescrizioni del D.M. 5 febbraio 1998 richiamate dall’autorizzazione rilasciatagli dalla competente amministrazione provinciale. Aveva infatti recuperato circa 1.000 tonnellate di rifiuti derivante dalla demolizione di un edificio (pezzi di ferro, legno, plastica, mattoni e pezzi di cemento) con granulometria superiore a c. 12,5, in violazione a quanto previsto dal punto 7 del decreto ministeriale, conferendolo ad altro soggetto ( identificato come C.L., coimputato) per l’utilizzazione come sottofondo stradale. Ad altri due soggetti ( M. ed MO)., invece, si contestava il trasporto di detti rifiuti in assenza dell’iscrizione all’Albo Nazionale dei gestori ambientali, poi riqualificato in trasporto in difformità dalle prescrizioni del titolo abilitativo.
I tre soggetti hanno presentato ricorso sostenendo il travisamento delle risultanze istruttorie da parte del giudice del merito, che avrebbe fondato la decisione sulla base dei soli documenti di trasporto acquisiti, senza considerare le obiezioni della difesa, che aveva evidenziato il conferimento di rifiuti anche da parte di altri soggetti. Il trasportatore M aveva poi rilevato di essere in possesso di iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali che lo abilitava, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 212, comma 8 al trasporto dei propri rifiuti – e tali erano quelli individuati a seguito dell’accertamento- avendo egli provveduto con mezzi propri alla demolizione del piazzale dove il materiale era stato utilizzato come sottofondo stradale, cosicché il trasporto effettuato riguardava rifiuti da lui stesso prodotti. Secondo il trasportatore la sentenza è errata laddove ha ritenuto configurabile la violazione dell’art. 256, comma 4 del Codice Ambiente, in ragione del possesso di autorizzazione al trasporto dei propri rifiuti, perché il trasporto di rifiuti prodotti da terzi è cosa diversa e, non costituendo una prescrizione del titolo abilitativo conseguito, avrebbe dovuto comportare, se dimostrata, la condanna per il reato originariamente contestato, mentre, al dimostrato, il trasporto dei propri rifiuti avrebbe dovuto conseguire la piena assoluzione.
Il giudizio della Corte
La Corte conferma che il trasporto di rifiuti diversi da quelli autorizzati configura il reato di illecita gestione di cui all’art. 256, comma 1, in quanto l’attività di trasporto costituisce una fase della gestione che richiede un’apposita autorizzazione, valevole solo per quella particolare tipologia di rifiuti indicata nell’atto autorizzazione. Ciò vale, a maggior ragione, per i soggetti autorizzati a trasportare i rifiuti da loro stessi prodotti ai sensi dell’articolo 212, comma 8, D.lgs. 152/2006, dove peraltro sono previsti minori oneri rispetto a quelli previsti dal comma 5 per gli altri soggetti.
Il trasporto di rifiuti prodotti da terzi, da parte di soggetto autorizzato al trasporto dei propri rifiuti configura il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata), comma 1 punibile con la pena alternativa dell’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 26mila euro, se si tratta di rifiuti non pericolosi, e con la pena dell’arresto fino a due anni e dell’ammenda fino a 26mila euro, se si tratta di rifiuti pericolosi. e non la meno grave ipotesi sanzionata dal comma 4 del medesimo articolo che punisce con pene ridotte della metà la inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni o il caso di carenza dei requisiti delle autorizzazioni.
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