La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia per il mancato rispetto delle normative europee in materia di trattamento delle acque reflue urbane. La sentenza, pronunciata il 27 marzo 2025, ha imposto al nostro Paese il pagamento di una somma forfettaria di 10 milioni di euro e una penalità per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla precedente sentenza del 2014.
La nuova sentenza sottolinea il ritardo nell’adeguamento agli standard europei
L’inadempienza dell’Italia in questo ambito, infatti, non è una novità.
Già nel 2014, la Corte di Giustizia UE aveva stabilito che 41 agglomerati non rispettavano la direttiva europea 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane. La mancata adozione di misure correttive adeguate ha portato la Commissione Europea ad avviare un nuovo procedimento per inadempienza, culminato con la recente sentenza.
Secondo la Corte, nonostante una significativa riduzione del numero di agglomerati non conformi (da 41 a 4), il problema persiste e rappresenta ancora una minaccia per l’ambiente. L’assenza di sistemi di trattamento efficaci comporta infatti il rilascio di acque reflue non depurate in aree sensibili, con conseguenze dannose per l’ecosistema e la salute pubblica.
Le sanzioni pecuniarie
Le sanzioni imposte dall’UE mirano dunque a incentivare il nostro Paese ad accelerare il completamento delle infrastrutture necessarie per garantire il rispetto delle normative ambientali europee.
L’importo delle sanzioni è stato determinato tenendo conto di tre fattori principali:
- Gravità della violazione: l’inquinamento idrico dovuto a reflui non trattati è considerato una minaccia ambientale di particolare rilevanza.
- Durata dell’inadempienza: il ritardo accumulato è ormai superiore agli 11 anni, un periodo giudicato eccessivamente lungo.
- Capacità finanziaria dello Stato: la Corte ha modulato l’importo della sanzione in base alle risorse economiche dell’Italia.
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