Nessun dubbio sul fatto che gli otto operai della centrale termoelettrica Enel di Turbigo si ammalarono – e morirono – per gli effetti di un mesotelioma pleurico provocato dall’inalazione di fibre di amianto. Tuttavia, l’esposizione fatale alla fibra killer iniziò negli anni in cui i sei imputati – dirigenti della società ed ex responsabili della centrale nell’hinterland milanese accusati di omicidio colposo in relazione ai decessi di questi lavoratori – non avevano ancora assunto posizioni di vertice. E’ questa la motivazione alla base della sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto” pronunciata, lo scorso 28 febbraio, dalla quinta sezione penale del Tribunale di Milano.
Secondo quanto deciso dal giudice, Beatrice Secchi, “l’affermazione della responsabilità penale” degli imputati è “estremamente problematica in quanto non può essere ancorata a solide basi scientifiche”. Sotto processo per il decesso degli otto lavoratori – esposti alle polveri di asbesto respirate nella centrale tra gli anni Settanta e Ottanta nella centrale – sono stati gli ex manager Paolo Beduschi, Valeriano Mozzon, Alberto Negroni e Paolo Chizzolini (altri due imputati, l’ex presidente di Enel Francesco Corbellini e l’ex direttore di compartimento Aldo Velcich, entrambi ultranovantenni, sono morti prima che il processo arrivasse alle battute finali).
Secondo il giudice Secchi, dunque, “deve ritenersi dimostrata l’origine lavorativa della patologia contratta dalle persone offese”, esposte alla sostanza in anni in cui “l’amianto era ampiamente utilizzato e si era ben lontani dall’introduzione del divieto del suo uso”. Mancherebbe, tuttavia, una prova certa sulle responsabilità degli ex dirigenti – accusati di non aver applicato adeguate misure di sicurezza e prevenzione – e, dunque, di un “nesso causale“ tra le loro presunte inadempienze e la morte degli operai.
Nella sentenza si sottolinea, infatti, che negli anni Ottanta – quando Beduschi, Mozzon, Negroni e Chizzolini ricoprivano ruoli dirigenziali nella centrale termoelettrica – “l’iniziazione del processo carcinogenetico era sicuramente già avvenuta per tutte le persone offese”, che iniziarono a lavorare nella struttura negli anni Settanta. Un periodo in cui “le cautele adottate in centrale erano gravemente lacunose”. L’esposizione all’amianto sarebbe proseguita anche negli anni successivi ma, si legge nelle motivazioni, “l’istruttoria dibattimentale non ha fornito le prove della sussistenza di una legge scientifica che comprovi l’esistenza del cosiddetto effetto acceleratore della protrazione dell’esposizione”.
Ecco, dunque, il punto nevralgico evidenziato dal giudice: ovvero, la scienza “non è in grado di indicare con certezza quale sia la durata del periodo di induzione” e, per questo, “se si discute della responsabilità penale di soggetti che hanno assunto posizioni di garanzia quando già il lavoratore era stato esposto per anni, è estremamente problematico (se non impossibile) stabilire se l’esposizione patita dal lavoratore nel periodo di tempo nel quale l’imputato rivestiva il ruolo di garante sia stata causalmente rilevante nel determinare la malattia”.
Si tratta, a ben vedere, di motivazione di portata generale che renderebbero la sentenza capace di “fare scuola” anche per gli altri processi, ancora in corso a Milano, a carico di ex dirigenti di aziende come Fiat e Pirelli accusati anch’essi di omicidio colposo in relazione a decessi di lavoratori che sarebbero stati provocati dalla presenza di amianto negli stabilimenti. Il pm di Milano Maurizio Ascione, che aveva chiesto la condanna degli ex manager Enel a pene da due anni fino a otto anni e mezzo di reclusione, probabilmente presenterà un ricorso in appello. Ricorso già annunciato da alcune delle parti civili, tra cui l’Associazione italiana esposti amianto.
———————————————————-NOTIZIA DEL 12 MARZO 2015
Morti per amianto, assolti gli ex manager della centrale di Turbigo
Lo scorso 28 febbraio il Tribunale di Milano ha assolto “per non aver commesso il fatto” gli ex dirigenti Enel ed ex responsabili della centrale termoelettrica di Turbigo. Gli imputati erano sotto processo per omicidio colposo plurimo, con l’aggravante della violazione delle normative sulla sicurezza, per la morte di otto operai deceduti tra il 2004 e il 2012 a causa del mesotelioma pleurico. L’impianto accusatorio non ha però convinto i giudici della quinta sezione penale di Milano.
Non ha retto, quindi, l’impianto accusatorio del pm Maurizio Ascione, che nel corso della sua requisitoria aveva accusato gli imputati di non aver fornito ai lavoratori alcuna forma di protezione dall’amianto per una scelta consapevole di “politica aziendale”. Da qui la richiesta di condannare i sei ex manager a pene comprese tra i due e gli otto anni e mezzo di carcere per il reato di omicidio colposo plurimo, con l’aggravante della violazione delle normative sulla sicurezza.
Ascione, in particolare, aveva chiesto sette anni di carcere per Francesco Corbellini, presidente di Enel tra il 1979 e il 1987, otto anni e mezzo per Aldo Velcich, direttore di compartimento tra il 1973 e il 1980, cinque anni e mezzo per Alberto Negroni, prima direttore di compartimento e poi, tra il 1984 e il 1992, direttore generale dell’azienda di energia, quattro anni per Paolo Beduschi, capo della centrale di Turbigo tra il 1984 e il 1990, tre anni per Paolo Chizzolini, ex direttore di compartimento, e due anni per Valeriano Mozzon, capo centrale tra il 1990 e il 1992. Entrambi ultranovantenni, Corbellini e Velcich sono morti proprio nelle settimane che hanno preceduto il verdetto.
L’assoluzione premia dunque la linea della difesa, che durante il processo aveva sostenuto la tesi secondo cui “non c’è certezza che la presunta condotta omissiva” degli ex dirigenti Enel sia stata una causa possibile dell’insorgere dei tumori o del loro aggravamento, “perché non c’è legge scientifica universale e non c’è statistica che confermi l’esistenza del nesso causale tra esposizione all’amianto e accelerazione della malattia”, come sostenuto in aula da Carlo Baccaredda Boy, legale di Edipower, responsabile civile assieme a Enel nel processo.
La decisione dei giudici ha provocato, però, le proteste dei parenti delle vittime presenti in aula. Dopo la lettura della sentenza, alcuni sono scoppiati in lacrime, mentre altri hanno inveito contro il presidente della quinta sezione penale, Beatrice Secchi, urlando “vergogna” e “li hanno uccisi un’altra volta”. “Non ci aspettavamo questa decisione – ha spiegato l’avvocato Laura Mara, legale dell’Associazione italiana esposti amianto e di Medicina democratica – Aspettiamo di leggere le motivazioni, poi faremo ricorso in appello”. Nel processo si erano costituiti parti civili anche il Comune di Turbigo e l’Inail, che avevano chiesto un risarcimento complessivo pari a tre milioni e 800mila euro.
———————————————————NOTIZIA DEL 19 DICEMBRE 2015
Processo alla centrale di Turbigo: il commento della difesa
Secondo Carlo Baccaredda Boy, legale di Edipower, responsabile civile assieme a Enel al processo in corso a Milano che vede imputate sei persone, tra ex vertici dell’azienda ed ex manager dello stabilimento alle porte di Milano, non è certo che la loro presunta condotta omissiva abbia causato l’insorgere dei mesoteliomi costati la vita a otto operai
Gli ex manager rispondono del reato di omicidio colposo plurimo, con l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza, per i casi di otto operai impiegati nello stabilimento alle porte della metropoli lombarda negli anni Settanta e Ottanta, morti tra il 2004 e il 2012 a causa del mesotelioma pleurico, la forma tumorale più diffusa per chi ha respirato fibre di amianto.
Nel chiedere al giudice della quinta sezione penale del Tribunale, Beatrice Secchi, di non dichiarare in capo alla società alcuna responsabilità, anche perché gli imputati vanno assolti con la formula “il fatto non sussiste”, l’avvocato Carlo Baccaredda Boy ha sostenuto che dal dibattimento e dall’analisi della letteratura scientifica “non c’è certezza che la presunta condotta omissiva” degli ex manager sotto accusa “sia stata una causa” possibile dell’insorgere della forma di tumore per cui sono morti gli otto operai o del suo “aggravarsi”.
Per Baccaredda Boy, infatti, non è possibile affermare quando è sorta la malattia e che influenza ha avuto sul suo decorso e sul suo aggravamento la successiva esposizione all’amianto. Di qui l’impossibilità, secondo il legale, di delineare le responsabilità in capo a Edipower e ai singoli imputati, alcuni dei quali sono stati in carica in epoche successive rispetto al periodo iniziale di esposizione degli operai alla fibra killer, anche perché ciascuna della vittime aveva già lavorato in luoghi esposti all’amianto prima dell’assunzione alla centrale di Turbigo.
Sulla stessa linea l’intervento della difesa di Enel, che ha anche contestato le richieste di risarcimento avanzate dalle parti civili, pari complessivamente a quattro milioni e 260mila euro. Nell’udienza del processo del 29 novembre l’Inail, in particolare, ha chiesto 2,3 milioni di euro, il Comune di Turbigo un milione e mezzo, mentre Medicina Democratica e l’Associazione Esposti Amianto, rappresentati dall’avvocato Laura Mara, hanno chiesto agli imputati e ai responsabili civili Enel ed Edipower risarcimenti pari, rispettivamente, a 250mila e 210mila euro.
Nel corso della stessa udienza, il loro legale aveva sottolineato che gli otto operai si sono ammalati e poi sono morti per aver lavorato “esposti in maniera incontrollata alle fibre di amianto“, mentre “incombe sul datore di lavoro il dovere” di controllare e tutelare la salute e la sicurezza dei dipendenti. Dovere che sarebbe invece stato “disatteso dagli imputati”, nei confronti dei quali il pm Maurizio Ascione ha chiesto condanne comprese tra i due e gli otto anni e mezzo di carcere. Tra loro figura anche Francesco Corbellini, presidente di Enel tra il 1979 e il 1987, per cui Ascione ha chiesto sette anni di reclusione.
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