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Sulla pericolosità delle sostanze ai fini del reato di avvelenamento di acque

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La norma incriminatrice del reato di avvelenamento di acque non richiede che dal fatto sia derivato un pericolo per la salute pubblica e la considerazione giustifica l’orientamento giurisprudenziale che considera il reato in esame come fattispecie di pericolo presunto.
È quanto afferma la Cass. pen., Sez. IV, sentenza n. 25547 del 06.06.2018.
Commento a cura di S. Casarrubia su Ambiente&Sicurezza sul Lavoro.

Il Caso
Nella sentenza in esame si discute quali siano i presupposti del reato di avvelenamento di acque di cui all’art. 439 cod. pen. Ciò in quanto, nello svolgimento dell’attività di fonderia di rottami di alluminio, utilizzando trucioli di alluminio contaminati da diossina, si provocava la dispersione eolica di diossina e la trasmissione degli inquinanti su basi non impermeabilizzate della falda idrica e nel sottosuolo.

Secondo la Corte di Cassazione
La Suprema Corte, anzitutto, chiarisce che le acque considerate dall’art. 439 c.p. sono quelle destinate all’alimentazione umana, abbiano o non abbiano i caratteri biochimici della potabilità secondo la legge e la scienza.
Ciò posto, per la configurabilità del reato in questione, pur potendosi ritenere giustificato l’orientamento secondo cui che il reato è di pericolo presunto, è necessario che un “avvelenamento” vi sia comunque stato, rilavando che il termine “avvelenamento” ha pregnanza semantica tale da renderne deducibile in via normale il pericolo per la salute pubblica; e che deve essere riferito a condotte che, per la qualità e la quantità dell’inquinante, siano di per sé pericolose per la salute pubblica, vale a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute. Pericolosa per il bene giuridico tutelato è, in altre parole, quella dose di sostanza contaminante alla quale le indagini scientifiche hanno associato effetti avversi per la salute, senza fare riferimento a schemi presuntivi o al mero superamento di “limiti soglia” di valenza precauzionale, che costituiscono una prudenziale indicazione sulla quantità di sostanza, presente in alimenti, che l’uomo può assumere senza rischio, quotidianamente e sul lungo periodo.

Redazione InSic

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